“Il lavoro domestico può rappresentare una grande opportunità di inclusione per tanti profughi ucraini diretti in Italia che stanno scappando dalla guerra e che, una volta superata l’emergenza, potrebbero trovare nel settore non solo una forma di sostegno economico ma anche una soluzione abitativa. In Italia già lavorano regolarmente circa 90 mila loro connazionali, a cui si aggiungono i 20 mila che in piena pandemia hanno aderito alla sanatoria. Grazie alle misure annunciate dal presidente Draghi alla Camera, anche coloro che arriveranno potranno svolgere un’attività lavorativa in deroga al Decreto Flussi, che come sappiamo da oltre un decennio non riserva quote al comparto domestico: una novità importante che potrebbe consentire a tante famiglie di assumere”. È quanto dichiara Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico.
“Sebbene nell’ultimo anno, – aggiunge Zini – anche per effetto della procedura di emersione, il numero dei lavoratori domestici stranieri complessivamente impiegati nel comparto sia cresciuto del 5,3% (passando dalle 601.223 unità del 2019 alle 633.122 del 2020), dal 2012 ad oggi si sono ‘persi’ complessivamente circa 189mila addetti stranieri. Un trend che, seppure parzialmente compensato dalla crescita degli italiani (+12,8% nell’ultimo anno), rischia di creare pesanti ricadute sul futuro dell’assistenza a domicilio, essendo quello domestico un comparto basato in prevalenza sulla forza lavoro immigrata, che rappresenta il 68,8% del totale. A questo – prosegue – dobbiamo aggiungere anche un altro fenomeno: oltre all’ormai strutturale processo di invecchiamento della popolazione italiana che sta determinando un incremento della domanda di assistenza, assistiamo un progressivo invecchiamento della forza lavoro, un processo che riguarda in particolare la componente straniera: ad oggi, infatti, gli over 50 rappresentano il 65,8% del totale, contro il 34,2% degli italiani. Secondo le nostre stime, l’avanzare dell’età degli addetti porterà nel giro di un decennio circa 260mila lavoratori ad andare in pensione (di cui 175mila stranieri) e 220mila (di cui 144mila stranieri) ad avvicinarsi a quella soglia”.
“Ci rendiamo conto – dichiara Zini – di come l’integrazione attraverso il lavoro, soprattutto per donne sradicate dal loro contesto sociale, possa rappresentare un percorso ad ostacoli ma probabilmente vanno considerati anche degli aspetti positivi, a partire dalla convivenza: nei casi in cui sia richiesta può assicurare una soluzione abitativa immediata e dalle informazioni che abbiamo molte famiglie stanno già dando disponibilità. Per arrivare all’assunzione occorre, però, che la lavoratrice venga formata ed apprenda sia l’italiano che la professione. Su questo – conclude Zini – siamo convinti che, come già avvenuto per il Covid, anche le parti sociali del comparto e gli Enti bilaterali sapranno fare la loro parte seguendo le indicazioni del presidente Draghi”.