Sono tra i 12,8 ed i 18 milioni i lavoratori impiegati nel settore domestico e dell’assistenza alla persona (PHS) nell’Unione Europea: di questi, tra i 6 ed i 9 milioni, ovvero circa la metà, sono senza contratto. Sono alcune delle stime contenute nel 2° Paper del Rapporto 2025 “Family (Net) WorkLaboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, commissionato da Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di lavoro Domestico) alla federazione europea EFFE. Il documento, intitolato “Lavorare senza essere riconosciuti: la realtà dell’assistenza domestica e domiciliare non dichiarata nell’Ue”, è stato presentato oggi a Bruxelles, presso l’Aula Spinelli del Parlamento Europeo. Presenti il presidente di Assindatcolf e vice presidente di EFFE, Andrea Zini, la delegata di EFFE Aude Boisseuil e l’Europarlamentare Brando Benifei.

Stando alle stime contenute nel Paper, in Italia la quota di lavoro sommerso nel settore domestico sfiora il 60%. Percentuali ancora più alte si registrano in Germania (90%), Grecia (76%), Slovenia (72%) e Repubblica Ceca (67%). Tra le cause principali: l’assenza di una definizione giuridica del lavoro domestico (mancante in 13 Stati membri su 27), la scarsa accessibilità a servizi regolari, la complessità delle procedure burocratiche e, soprattutto, il costo percepito delle famiglie del lavoro in regola.

Per analizzare l’impatto socio-fiscale di possibili politiche di sostegno al lavoro regolare, EFFE ha sviluppato “Dom&Care Value”, un simulatore che valuta il ritorno economico di misure come sussidi pubblici e crediti d’imposta, applicato al lavoro domestico di assistenza indiretta (attività quotidiane come pulizie, cucina, spesa) a supporto di persone non autosufficienti. Nel caso dell’Italia, lo studio ha analizzato cosa accadrebbe se lo Stato finanziasse con 8,1 euro l’ora il lavoro di colf che svolgono mansioni domestiche in favore di persone non autosufficienti. Grazie a questo contributo il costo finale per la famiglia si dimezzerebbe, diventando pari a quello che mediamente si spende per retribuire un’attività in nero (circa 8,7 euro l’ora), mentre lo Stato incasserebbe 7,9 euro di contributi fiscali diretti e 2,44 euro in benefici economici indiretti, generando 5 ore di lavoro aggiuntivo in altri settori.

“Il simulatore – dichiara Aude Boisseuil, Delegata Generale di EFFE – mostra che ogni euro investito per rendere più competitivo il lavoro regolare nel settore domestico genera un ritorno netto di 1,14 euro. Questo significa che le politiche di emersione, se ben progettate, non sono solo sostenibili sul piano finanziario, ma contribuiscono all’inclusione lavorativa e al miglioramento della qualità dei servizi”.

“Il lavoro domestico – afferma Andrea Zini, presidente di Assindatcolf e vicepresidente di EFFE – è una componente fondamentale del nostro modello di welfare ma continua ad essere trattato come invisibile. I dati dimostrano che l’economia sommersa non è una deviazione marginale: è la norma in troppi Stati membri. Per questo l’appello che lanciamo alle Istituzioni, nazionali ed europee, è chiaro: servono incentivi mirati, digitalizzazione delle procedure di assunzione e riconoscimento giuridico del settore. Perché un’Europa giusta si costruisce anche nelle case”.

“Il lavoro di cura rappresenta un pilastro tanto fondamentale quanto invisibile della nostra società europea, ma i dati presentati oggi mostrano quanto sia urgente riconoscerlo pienamente, sia economicamente che socialmente” dichiara Brando Benifei, Europarlamentare. “Dobbiamo dare tutele giuridiche ed economiche alle persone che ogni giorno lavorano nel settore domestico e nell’assistenza alla persona.  Tutte le istituzioni europee – conclude – devono essere impegnate in prima linea per promuovere azioni concrete per l’emersione del lavoro irregolare e la valorizzazione di questo settore essenziale. Iniziative come questa sono fondamentali per costruire un’Europa più giusta”.

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