Una moglie può essere assunta dal marito come badante o come colf? Di norma non è possibile farlo, anche quando si tratta di una relazione di convivenza more uxorio, ma esistono delle eccezioni. Stando alla giurisprudenza, infatti, le prestazioni cosiddette domestiche svolte in un ambito familiare tra coniugi devono intendersi a titolo gratuito poiché rientrano a pieno titolo tra i “Diritti e doveri reciproci dei coniugi” così come stabilito nel Codice Civile, articolo 143.
“Dal matrimonio – si legge nel Codice – deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. E ancora: “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Un principio incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Ma in un settore in cui la cura della persona, fino ed oltre i confini dell’intimità, diventa parola d’ordine distinguere cosa rientri nei doveri coniugali o in quelli lavorativi può diventare questione spinosa. Non sono pochi, infatti, i ricorsi sui quali negli anni si è dovuta pronunciare la Cassazione soprattutto nei casi di convivenze.
La legge prevede, infatti, alcune eccezioni anche nel caso di assunzione tra coniugi: un marito può assumere la moglie (o viceversa) solo qualora il datore sia grande invalido di guerra (civile e militare), grande invalido per cause di servizio e del lavoro, mutilato e invalido civile, cieco civile e fruisca dell’indennità di accompagnamento.
Mentre è sempre possibile assumere come colf, badante o baby sitter un parente o un affine entro il terzo grado quando il rapporto di lavoro “sia provato”. La legge (D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403) fa, infatti, esplicito “all’onere della prova”, quindi all’obbligo di dimostrare l’onerosità della prestazione e la subordinazione del lavoratore.