Quest’anno celebriamo il sessantesimo anniversario della nostra Europa Unita: il 25 marzo del 1957 vennero, infatti, sottoscritti due importantissimi Trattati considerati come l’atto di nascita della grande famiglia europea. Oggi, a 60 anni da quella firma, ci è sembrato opportuno e quanto mai necessario avviare una riflessione, tracciare un bilancio su cosa sia accaduto in questo periodo e, soprattutto, su come sia cambiata la realtà dei cittadini italiani ed europei. L’occasione per farlo ci è offerta dalla tavola rotonda che abbiamo organizzato in occasione del Comitato di Indirizzo Strategico di Effe, Federazione Europea dei Datori di Lavoro Domestico, in agenda il 23 marzo a Roma, nella sede di Confedilizia.
Per noi, che ci onoriamo di rappresentare una parte delle famiglie italiane, l’obiettivo è quello di tentare di calare la riflessione sulla vita delle persone per capire quanta strada debba essere ancora percorsa per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che, tra gli altri, hanno ispirato i Trattati di Roma: mercato unico, libera circolazione di merci e di persone. Cosa c’entrano con la quotidianità delle famiglie? Tantissimo.
Il settore domestico rappresenta, infatti, un micro cosmo di quello che è stato e che potrebbe essere. Parliamo del lavoro di circa 1,8 milioni di persone a cui, ogni giorno, affidiamo la cura dei nostri figli, genitori anziani e della nostra casa. Una categoria che riassume in sé tanti dei problemi che oggi affliggono la nostra Europa: lavoro, politiche sociali, flussi migratori, integrazione. Si, perché in Italia questo “esercito” di lavoratori (ed in particolare lavoratrici) è composto principalmente da immigrati, cittadini europei ed extracomunitari che decidono di accudire le nostre famiglie avendo lasciato lontane le loro. Persone che da una parte contribuiscono appieno al nostro sistema pensionistico e dall’altra alleggeriscono il peso di un welfare sempre più “fai da te” perché lasciato in balia delle stesse famiglie, a causa di una patologica assenza di politiche adeguate.
È vero, il lavoro domestico è solo la punta di un iceberg ma mettere mano a questo settore con un concreto intervento dello Stato a favore di chi ne ha bisogno rappresenterebbe un segnale in controtendenza, in grado di attivare un circuito virtuoso: lotta al lavoro nero; crescita dell’occupazione; risparmi per le famiglie e quindi nuovi consumi. In una parola “benessere”, o perlomeno un contributo al benessere. In un mondo che sta cambiando in modo radicale, sebbene la crisi finanziario-economica del 2008 ci stia lentamente lasciando, il lavoro è ancora scarso o comunque difficile da raggiungere, senza contare che molti lavori sono già affidati a macchine o robot, condizione questa che molto probabilmente ci porterà a ripensare tanti lavori e lo stesso macro meccanismo economico che regola i Paesi europei. Sicuramente l’Europa ci aiuterà in questa rivoluzione sociale perché la partecipazione è molto più solidale dell’esclusione. Solo riscoprendo i valori che sono stati l’origine della nostra Unione Europea troveremo il modo di vivere un futuro sereno. In questo mondo la famiglia rimarrà l’aggregazione sociale primaria, riconquistando quella funzione centrale che negli ultimi decenni del secolo scorso aveva perduto. È proprio per questo motivo che siamo convinti dell’esigenza di mettere l’accento sulla parola “Unione”, più che sulla parola “Europea”, ma certamente il binomio “Unione Europea” sarà sempre più sinonimo di benessere, lo stesso che ci auguriamo possano finalmente raggiungere i cittadini di questa nostra Europa.