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Welfare, ricerca CENSIS: dedurre costo lavoro domestico quasi a costo zero per lo stato

Sono 2,1 milioni le famiglie italiane che si avvalgono di colf, badanti e baby sitter, spendendo 19,3 miliardi di euro l’anno. Il 96,1% delle famiglie non riceve alcuna forma di sostegno. Con la deduzione fiscale dei costi, vantaggi diretti e indiretti per famiglie, occupazione e sistema economico

 Dedurre gli oneri fiscali per colf, badanti e baby sitter per sostenere il welfare e l’occupazione. Se le famiglie italiane potessero godere della deduzione delle spese per colf, badanti e baby sitter si otterrebbero effetti positivi diretti e indiretti: si arriverebbe a far emergere 340.000 occupati irregolari nel settore e si creerebbe un’occupazione aggiuntiva diretta per 104.000 collaboratori domestici. Il saldo fra costi aggiuntivi e benefici diretti legati a emersione e nuova occupazione porterebbe il costo della deduzione a carico dello Stato a 675 milioni di euro. È quanto emerge da una ricerca del Censis, “Sostenere il welfare familiare”, commissionata da Assindatcolf.

Si produrrebbero anche effetti indiretti, con nuova occupazione creata in altri settori (80.000 addetti), gettito fiscale e contributivo aggiuntivo e anche un gettito Iva aggiuntivo derivante dai nuovi consumi delle famiglie determinati dalla disponibilità di reddito collegato alla deduzione. Il risultato finale degli effetti diretti e indiretti sarebbe pari a un costo per lo Stato di soli 72 milioni di euro.

“Le stime contenute nel Rapporto Censis – dichiara Andrea Zini, vice presidente Assindatcolf – dimostrano l’assoluta sostenibilità per le casse dello Stato della deduzione totale del costo del lavoro domestico. Si tratta di un’operazione quasi a costo zero, poiché 72 milioni di euro sono un valore pressoché irrisorio che, però, potrebbe generare una vera e propria inversione di tendenza nel sistema del welfare italiano. Le famiglie sarebbero finalmente libere da un pressante ruolo di assistenza e cura che gli è stato impropriamente affidato, con la conseguenza di un ritorno ad un ruolo pieno di nucleo sociale naturale, recuperando anche la funzione prima della famiglia con un aumento della natalità”

Le famiglie italiane spendono 19,3 miliardi di euro per i collaboratori domestici. Sono 2.143.000 le famiglie italiane (l’8,3% del totale) che si avvalgono dei servizi dei collaboratori domestici: dalla cura e assistenza degli anziani e delle persone non autosufficienti, alle attività di pulizia della casa. Il valore economico delle prestazioni dei collaboratori domestici, sostenuto direttamente dalle famiglie, è pari complessivamente a 19,3 miliardi euro: un valore che negli ultimi quindici anni è cresciuto del 22%.

Aumenta l’esigenza di professionalità. Gli occupati nei servizi di assistenza familiare sono 1,6 milioni (il 6,6% degli occupati totali) e sono aumentati negli ultimi quindici anni di quasi il 46% (nel 2000 erano 1,1 milioni, il 4,8% del totale). Il forte sviluppo occupazionale in quest’area evidenzia la crescente importanza delle attività presso le famiglie come sbocco occupazionale, soprattutto per quei profili professionali in fase di riconversione o per quelli che sono in procinto di affacciarsi sul mercato del lavoro. Ma emerge anche la necessità delle famiglie di attingere a un bacino sempre più ampio di profili professionali per soddisfare bisogni non coperti diversamente.

Diminuisce il lavoro nero. All’interno del settore resta ampia la quota di lavoro irregolare, che interessa circa il 55% dei lavoratori domestici, pari a 876.000 unità. Solo nel 2001 l’incidenza del lavoro sommerso superava però l’80%. Le famiglie hanno assunto negli ultimi anni la caratteristica di datori di lavoro sempre più trasparenti, grazie alle operazioni culturali, fiscali e normative tese a sensibilizzarle. Anche se restano ancora ampi i margini per una maggiore trasparenza, con risvolti positivi per i lavoratori a domicilio, per il sistema economico nel complesso e prima di tutto per le famiglie stesse.

Per quasi tutte le famiglie nessun sostegno pubblico. Il 96,1% delle famiglie che si rivolgono ai collaboratori domestici non riceve alcuna forma di sostegno. In mancanza di un supporto pubblico e nell’impossibilità di prendere in carico in prima persona l’onere familiare, il 45,8% delle famiglie che ricorrono ai servizi forniti da colf e badanti è costretto ad affrontare difficoltà economiche, che inducono a contrarre altre voci della spesa familiare o persino ad erodere i risparmi. Solo il 4,8%, infatti, gode dell’assegno di accompagno e appena il 3,6% usufruisce di detrazioni fiscali. Per il 10,1% delle famiglie la spesa incide per oltre il 30% del reddito disponibile.

La domanda potenziale di personale domestico. Sarebbero ulteriori 2,9 milioni (il 12,1%) le famiglie che potrebbero attivare una domanda di servizi domestici se fossero nelle condizioni economiche per farlo. A queste, peraltro, potrebbe aggiungersi la domanda potenziale di servizi forniti da lavoratori a domicilio da parte di quelle famiglie, soprattutto composte da anziani, nelle quali i compiti di cura, assistenza e pulizia sono svolti da uno o più membri della famiglia per i quali sarebbe vantaggioso il supporto di un collaboratore esterno (19,3%). D’altra parte, secondo il Censis, il 65,5% delle famiglie sarebbe molto o abbastanza d’accordo sulla possibilità di dedurre fiscalmente alcune spese per il welfare, sostenute direttamente di tasca propria.

“Il lavoro svolto da colf, badanti e baby-sitter non è più da considerarsi di élite ma, al contrario, – conclude il presidente Assindatcolf, Renzo Gardella – riguarda la vita di milioni di famiglie, anche quelle meno abbienti. Per aiutarle, l’unico strumento sostenibile è quello della deducibilità totale del costo del lavoro domestico. La strada più veloce è certamente quella tracciata dall’iter della legge di Stabilità 2016 in Parlamento ma se questo non dovesse avvenire, Assindatcolf continuerà a lavorare con impegno affinché le nostre istanze vengano comunque accolte dalle istituzioni”.

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