Anche il lavoratore domestico, al pari di tutti gli altri, ha diritto a tutele in caso di malattia e alla conservazione del posto di lavoro. A disciplinare la materia è il contratto collettivo nazionale (art. 26) anche se, recentemente, la Cassazione si è espressa con la sentenza n. 22928 del 13 settembre 2019 – licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Partiamo dal principio: il Ccnl domestico assicura al lavoratore in malattia una retribuzione definita in base all’anzianità di servizio, ma anche la conservazione del posto di lavoro, il cosiddetto periodo di comporto che, anche in questo caso, varia  a seconda dei mesi di attività svolta presso lo stesso datore di lavoro: 10 giorni quando l’anzianità è fino a 6 mesi, 45 giorni da 6 mesi a 2 anni e 180 giorni oltre i 2 anni. In questo arco temporale il domestico non può essere licenziato, il datore non versa contributi ma deve accantonare comunque tredicesima mensilità e Tfr che continuano a maturare insieme alle ferie. Senza modificare l’orientamento vigente, la Cassazione stabilisce che tutti i giorni, anche se non lavorativi, indicati nel certificato di malattia presentato dal lavoratore debbano essere scalati dal periodo di comporto insieme a quelli festivi.

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