Con ordinanza del 6 aprile 2017 n. 8883 i giudici della Suprema Corte hanno affermato che “elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato – e criterio discretivo rispetto al lavoro autonomo – è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione), i quali possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto”. Nel caso di specie la Corte ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza della Corte di Appello di Messina che ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro e condannato al pagamento di somme in favore dell’ex badante a titolo di differenze retributive e tfr. Nel ricorso rigettato si asseriva invece che il rapporto di lavoro era di natura autonoma secondo quanto evincibile dalle dichiarazioni della badante in sede di interrogatorio formale e, più in generale, perché non si era provato l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare della parte datoriale, tra cui assenza di direttive, di vincolo di orario, obbligo di comunicazione delle assenze, disponibilità delle chiavi e dell’abitazione, utilizzata anche per esigenze personali, che avrebbero giustificato la qualificazione come autonomo del rapporto in controversia.

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